Il calcio come strumento educativo nei Balcani
Lavorare bene per vivere meglio, aiutare gli altri per vivere ancora meglio. Potremmo iniziare con questo slogan il racconto di quello che è stato un viaggio meraviglioso, difficile per certi versi ma capace di mostrare il volto migliore dell’essere umano vicino o lontano che sia. È in questo modo che Würth MODYF ha deciso quest’anno di finanziare
FOOTBALL NO LIMITS, un progetto con il patrocinio della F.I.G.C. finalizzato all’aggregazione dei bambini nei Balcani per unire ciò che una delle più brutali guerre della storia contemporanea ha diviso, dimostrando come l’odio per il diverso non sia la soluzione. Avremmo un fiume di parole da scrivere per quello che abbiamo ascoltato e visto con i nostri occhi, ma abbiamo deciso di lasciare la parola a chi in questo straordinario spaccato di altruismo ci si è dedicato anima e corpo. Daniele Socciarelli responsabile di Ipsia Italia per il progetto di volontariato internazionale ha voluto raccontarcelo di persona.
Cosa significa Football No Limits e che significato ha il calcio per te?
Questo progetto nasce dall’esigenza di utilizzare il calcio come strumento educativo, che nei Balcani è assolutamente costruttivo e aggregante. Uno strumento che possa far capire che il calcio non ha limiti, non è fatto solo di giocatori che fingono degli infortuni in campo e grandi business, il calcio è qualcosa di più: è un connettore che permette di superare i limiti insieme anche se si è di religioni, culture e provenienze diverse. Il calcio per me è sempre stata una grande passione, ha sempre rappresentato un momento molto aggregativo e probabilmente non sarei la persona che sono oggi se non avessi giocato a pallone a livello amatoriale. Il calcio mi ha fatto capire quali sono i miei limiti, fino dove posso spingermi e dove posso superarli.
Come si è evoluto questo progetto e quale obiettivo si pone?
Questo progetto si è evoluto in maniera naturale, è nato davanti a una birra in cui io ed Emir (n.d.r. il coordinatore bosniaco locale, promessa del calcio jugoslavo prima di dover combattere in prima persona la guerra in Bosnia) tiravamo le somme di alcune esperienze precedenti legate al calcio e ci siamo chiesti perchè non potesse diventare patrimonio di altri, come già fatto nella città natale di Emir, Bosanska Krupa. Così è nata l’idea di portare questo progetto in giro, di farlo diventare una carovana e di provare a trasferire
l’esperienza che noi dall’Italia avevamo portato in Bosnia ad altri bosniaci, ma utilizzando non solo il canale dei volontari italiani bensì anche i canali locali, che è ciò che funziona maggiormente. Il progetto si è evoluto in questo modo: da cinque città siamo passati a sette nell’arco di un anno, quest’anno saremo in nove città e ci sono ottime probabilità che questo progetto vada anche oltre i confini dei Balcani. L’idea infatti è quella di espandersi verso sud, verso il Kosovo e l’Albania e perché no il sogno è di portare l’esperienza bosniaca anche in Kenya, dove Ipsia lavora da moltissimo tempo. L’obiettivo principale che Football No Limits si pone è quello di provare a sostenere le realtà locali attraverso la donazione di materiale sportivo per proporre ai ragazzini un’alternativa ai pomeriggi seduti su una panchina o giocare ai videogiochi.
Come ti ha cambiato questa esperienza?
Come sono cambiati i Balcani negli ultimi 20 anni? Questa esperienza personalmente, mi ha fatto diventare il Daniele di oggi. Non so come sarei stato a 35 anni, se nel 2002 non avessi incrociato la Bosnia e il Balcani che sono diventati praticamente una ragione di vita. Nei Balcani le persone nell’arco delle loro esistenze hanno dovuto sopportare le peggiori situazioni (e forse anche di più) e le loro storie mi hanno fatto capire che i problemi quotidiani sono spesso delle banalità. I Balcani che ho visto io negli ultimi 20 anni, sono cambiati tanto e lo si può vedere per strada, sono cambiate le persone e la loro voglia di costruire qualcosa. Quello che non è cambiato nei Balcani è l’ospitalità delle persone,che continuano a credere nella vita e nelle persone nonostante la guerra abbia rischiato di togliergliela. Forse questa è la caratteristica principale che nei Balcani non dovrebbe cambiare mai.